Cornelia.
Notizie del giorno per documentarsi su ciò che accade nel mondo!
Ti invitiamo a dedicare qualche minuto per aiutarcia capire meglio quanto soddisfiamo le tue esigenze! |
Dizionari Enciclopedia Storia Link utili La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa. |
Dizionario di storia antica
(189 ca - 110 a.C.). Matrona romana. Figlia minore di Scipione l'Africano, sposò Tiberio Sempronio Gracco. Dei suoi dodici figli sopravvissero solo Sempronia e i tribuni Tiberio e Caio. Dopo la morte del marito, rifiutò di sposare Tolomeo VII e si dedicò all'educazione dei figli. Nel 133 si ritirò nella villa di Miseno. Le si attribuiscono lettere di consigli ai figli. (dal latino matrona, der. di mater: madre). Nell'antica Roma, donna sposata, libera di nascita. ║ Per estens. - Donna maritata, signora di alta condizione sociale. ║ Per estens. - Donna formosa, dal portamento grave e solenne. Scipione Africano maggiore, Pùblio Cornèlio. Uomo politico e militare romano. Figlio di Publio Cornelio (V. SCIPIONE, PUBLIO CORNELIO), che fu console nel 218 a.C., partecipò giovanissimo alla battaglia del Ticino contro Annibale e, secondo la tradizione, in quell'occasione salvò la vita al padre ferito. Tribuno militare a Canne, diresse la ritirata di alcune migliaia di uomini verso Canosa. Il suo cursus honorum contava solo la carica di edile curule, ricoperta nel 212 a.C., quando il padre e lo zio furono uccisi in Spagna nel 211 a.C.: non essendo state presentate candidature per la magistratura proconsolare in quella regione, S. propose la sua, benché fosse privo del requisito di età minima e non avesse al suo attivo alcuna magistratura cum imperio, senza la quale non era mai stato concesso il potere proconsolare. In deroga a tali norme, con l'appoggio del Senato e il favore dell'assemblea popolare, S. ottenne il comando e nel 210 a.C. era già sbarcato a Tarragona con la flotta. Riorganizzate le truppe già sul posto, nella primavera del 209 a.C. S. riuscì a espugnare la piazzaforte di Carthago Nova, difesa dal cartaginese Magone. La decisione di rilasciare gli ostaggi iberici, lì trattenuti dal generale punico, guadagnò ai Romani l'appoggio di molte popolazioni locali, la cui ostilità fu invece assai dannosa per le postazioni militari cartaginesi. A poco a poco S. conquistò la penisola iberica, sgombrandola dalle truppe di Cartagine: nel 208 a.C. vinse a Becula, nel 206 a.C. a Ilipa e a Cadice. Benché Asdrubale fosse comunque riuscito a inviare rinforzi in Italia ad Annibale, quella di S. fu una campagna militare di grande successo, che sottopose la Spagna alla dominazione romana e guadagnò allo stesso S. la magistratura consolare per l'anno seguente, il 205 a.C. Forte di tale incarico, delle sue vittorie militari e del favore popolare che ne seguiva, S. dimostrò di muoversi con una notevole indipendenza e autonomia, godendo di autorità politica e militare che vanificavano la volontà di controllo da parte del Senato e in genere dell'aristocrazia. Anche l'appoggio che gli alleati italici conferivano al generale romano dimostrava la novità della sua azione: con essa si delineava un'entità statale non più mero strumento dell'egemonia del patriziato cittadino romano, ma struttura federale di cui i socii erano parte attiva e non sottoposta, benché Roma ne fosse comunque alla testa. Così, rifiutato il piano del Senato che voleva inviarlo nel Bruzio contro Annibale lì accampato, S. organizzò una flotta di volontari italici, ottenne il comando consolare della Sicilia, con l'intento di sbarcare in Africa e attaccare Cartagine entro il suo territorio. Approfittando dello scontro interno tra Siface, re dei Numidi occidentali, e Massinissa, re dei Numidi orientali, si creò una base d'appoggio stringendo alleanza con quest'ultimo. Il console, sventata l'opposizione senatoriale e riconfermato nell'imperium per l'anno 204 a.C., sbarcò in forze sulle coste africane presso Utica, ma presto soffrì la medesima situazione patita in Italia da Annibale: infatti ogni iniziativa gli era resa impraticabile dal trovarsi in territorio straniero e dall'inferiorità numerica. Tuttavia anche Cartagine viveva una crisi economica e politica, per la lunga guerra, tanto forte da indurre una prima trattativa con S. attraverso la mediazione di Siface: in cambio della tregua, ai Romani sarebbero rimaste tutte le terre conquistate (comprese le province spagnole), purché a Cartagine fossero riconosciuti i confini precedenti alla guerra. S., che riteneva l'accordo svantaggioso, approfittò tuttavia delle trattative per riorganizzare le proprie forze: quando infine rifiutò ufficialmente l'accordo era ormai pronto alla battaglia, che vinse nel 203 a.C. presso Utica, ai Campi Magni. Seguirono un armistizio e accordi di pace, duri ma non insostenibili per Cartagine, interrotti però dal rientro dall'Italia di Annibale: ciò riaccese la guerra, seppur brevemente, perché S. batté le ultime forze puniche nel 202 a.C. a Zama, guadagnandosi sul campo l'appellativo di Africano. L'anno seguente, a Roma, fu celebrato il suo trionfo e, nel 199 a.C., mentre ricopriva l'incarico di censore, S. ottenne il titolo di princeps senatus. La sua autorità pubblica, pur entro i limiti della legalità e della Costituzione repubblicana, crebbe, influenzando significativamente soprattutto la politica estera romana, ma fu contrastata lungo i decenni seguenti dal Partito aristocratico, senza peraltro raccogliere compiutamente l'appoggio della opposta parte democratica, dal momento che gli interventi di S. in favore del popolo furono assai limitati e inferiori, ad esempio, alle azioni intraprese a suo tempo dal tribuno Flaminio. S., nuovamente eletto console nel 194 a.C., propose una politica di protezione della Grecia nei confronti della Siria di Antioco III, in luogo del progetto di evacuazione delle forze romane patrocinato invece da Quinzio Flaminio, di cui peraltro condivideva la formazione e la cultura ellenizzante: tuttavia il Senato non approvò la sua proposta di intraprendere una guerra contro il sovrano siriaco. Il suo indirizzo prevalse solo qualche anno più tardi e, quando lo scontro con Antioco si fece inevitabile, egli vi partecipò come legato del fratello Lucio (V. SCIPIONE ASIATICO, LUCIO CORNELIO), console nel 190 a.C., non potendo ottenere direttamente l'imperium per la legge contro la reiterazione dei comandi. Ciò nonostante, egli fu considerato il vero e maggior artefice di quella campagna militare, pur non partecipando in prima persona alla grande battaglia di Magnesia al Sipilo, vinta da Lucio. Seguirono poi trattative di pace, condotte dallo stesso S. e miranti ad assicurare l'egemonia romana sulla regione senza annessioni dirette e costose da parte della Repubblica: ne sortì la Pace di Apamea (188 a.C.). Negli stessi anni, in Roma montava una composita opposizione alla famiglia degli Scipioni, e in particolare all'Africano, guidata da Catone il censore, che riuscì a intentare contro i due fratelli una causa per chiedere loro conto di alcune indennità di guerra versate nelle loro mani da Antioco. Questi fatti giudiziari, noti come processi degli Scipioni, non sono ben tramandati dalle fonti, sempre troppo parziali: pare tuttavia che l'Africano venisse infine accusato anche di tradimento in favore di Antioco, che gli aveva restituito il figlio prigioniero senza pretendere riscatto. Nel 184 a C., S. si ritirò nella propria villa a Literno, abbandonando la città di Roma, indignato ma ormai cosciente della vittoria delle forze a lui opposte. Infatti, tanto i popolari quanto gli ottimati gli erano ormai avversi: la sua politica diretta a un patronato egemonico di Roma sull'Oriente ellenico, senza annessioni territoriali dirette, gli aveva alienato le simpatie dei popolari che, comprendendo i ceti mercantili e con maggiori interessi economici, aspiravano invece al controllo assoluto dei mercati. Il suo evidente filoellenismo, d'altra parte, coniugato alla grande autorità personale che in taluni momenti aveva fatto temere un'involuzione in senso monarchico dello Stato romano, gli avevano inimicato l'aristocrazia e i cultori della tradizione romana e repubblicana (236 a.C. - Literno 183 a.C.). (dal latino tribunus, der. di tribus: tribù). Nell'antica Roma, denominazione di magistrati, funzionari e ufficiali che ricoprivano cariche aventi in origine una qualche connessione con le tribù (V. OLTRE). ║ In età medioevale e moderna, titolo talora conferito ai membri di particolari magistrature o assemblee. ║ Fig. - Con tono polemico, persona di idee rivoluzionarie e dotata di grandi capacità oratorie. ║ Fig. - In senso spregiativo, politico che parla in maniera demagogica. - St. - T. della plebe: denominazione dei capi annui della plebe, introdotti, secondo la tradizione, nel 494 a.C. Originariamente in numero di due (o quattro o cinque), già prima del 449 a.C. erano divenuti dieci. La loro autorità era non legitima, ma sacrosancta: essa si fondava, cioè, non su leggi dello Stato, ma su un giuramento di fedeltà compiuto dalla plebe. Il potere dei t. della plebe fu, perciò, un potere nella sostanza rivoluzionario, che si concretizzava in linea di massima nell'intercessio, vale a dire in un intervento a favore di un plebeo che si sentiva leso in un suo diritto o interesse per opera di un magistrato. L'intercessio, in origine limitata ai decreti dei magistrati, col tempo venne a essere applicata alle deliberazioni popolari, a quelle dei comizi centuriati e, infine, anche ai senatoconsulti, ma mantenne a lungo un carattere esclusivamente negativo; poteva, cioè, essere indirizzata contro le proposte o le candidature avanzate, ma non prevedeva la possibilità di produrre proposte o candidature alternative. Perché l'autorità dei t. della plebe assumesse degli aspetti positivi, si dovette attendere la Lex Hortensia (287 a.C.), allorché i concili della plebe divennero veri e propri organi normativi dello Stato e le deliberazioni della plebe (plebisciti) assursero al rango di leges. Non solo: mantenendo, comunque, l'autorità tribunizia il carattere sacrosanto delle origini, i t. della plebe si trovarono presto ad avere una posizione di preminenza nei confronti degli altri magistrati. D'altra parte, le trasformazioni economiche e sociali tendevano sempre più a normalizzare i rapporti tra Stato e plebe e a stemperare la carica rivoluzionaria di quest'ultima, cosicché, alla fine, lo stesso tribunato finì per divenire espressione della nobiltà plebea e per rendersi organico al sistema. In linea di principio, però, rimaneva intatta la carica rivoluzionaria dell'ufficio: di ciò si ebbe chiara percezione verso la fine del II sec. a.C., quando i Gracchi tentarono di usare il tribunato come strumento per scardinare il vetusto impianto politico e sociale romano. Fu così che Silla, nella sua opera di restaurazione di un saldo regime senatorio, ridusse drasticamente il potere dei t., subordinando, tra le altre cose, la validità dei plebisciti all'approvazione del Senato. Da allora l'istituzione iniziò una lenta ma inesorabile decadenza e i t. vennero man mano esautorati delle loro prerogative. ║ T. militari: in epoca repubblicana, ufficiali della legione sottoposti al comandante supremo. Originariamente scelti dai magistrati, successivamente eletti dal popolo, i t. militari costituivano i capi dei contingenti di fanteria delle tre tribù gentilizie; col raddoppio dell'esercito il loro numero passò da tre a sei, senza più modificarsi nemmeno col progressivo aumento del numero delle legioni. La riforma augustea dell'esercito attribuì il titolo di t. militari a una serie di ufficiali superiori comandanti di reparto quali: il t. di coorte pretoria, il t. di coorte urbana, il t. dei vigili e degli equites singulari, il t. di coorte ausiliaria milliaria, il t. di coorte ingenuorum sive voluntariorum. ║ T. aerarii (t. pagatori): capi elettivi delle tribù aventi funzioni amministrative e preposti alla distribuzione del soldo alle reclute. Tribuno della plebe romano. Figlio del console Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia. Ebbe per maestro Diofane di Mitilene e Blossio di Cuma meritandosi in moglie la figlia del console Appio Claudio Pulcro. Si distinse nell'assedio di Cartagine sotto suo cognato Scipione Emiliano; poi, questore del console Mancino, davanti a Numanzia, salvò l'armata, posta in una posizione senza scampo, trattando coi Numantini. Il Senato e il popolo rifiutarono di ratificare quell'accordo e Mancino fu consegnato ai nemici; G. fu invece salvato dal popolo e si dedicò da allora alle rivendicazioni della plebe. Pertanto, per migliorarne le condizioni economiche, propose una legge, detta Sempronia, che contemplava la spartizione fra il popolo dell'agro pubblico e delle terre conquistate in guerra, ma la sua azione fu stroncata dal patriziato. P. Scipione Nasica, alla testa di una schiera di nobili, aggredì G. e i suoi seguaci. Con G. perirono trecento dei suoi seguaci i cui cadaveri furono gettati nel Tevere. Invano il fratello Caio chiese il suo corpo per dargli sepoltura: come quello dei suoi seguaci, sparì anch'esso nei gorghi del fiume. Fu la prima strage fratricida di Roma. Più tardi anche i suoi avversari resero omaggio alle sue virtù e alle sue intenzioni: Cicerone fece l'elogio della dolcezza e della serenità della sua eloquenza (162 circa - 133 a.C.). (Neo Filopatore). Re d'Egitto. Figlio di Tolomeo VI, regnò dal 145 a.C.; venne fatto uccidere dallo zio Tolomeo VIII (m. 144 a.C.). Frazione del comune di Bacoli, in provincia di Napoli, a 6 m s/m. Sorge sul promontorio omonimo, sull'insenatura conosciuta come Porto di M. Porto peschereccio e frequentata stazione balneare. Nelle vicinanze del centro si trova una laguna costiera, separata dal mare mediante una piccola striscia di sabbia (spiaggia di Miliscola) detta Lago di M. o Mar Morto. 419 ab. - St. - Celebre luogo di villeggiatura dei Romani, negli anni 37-31 a.C., Agrippa utilizzò la zona come base navale, facendone uno delle principali sedi della flotta del Mediterraneo occidentale (classis praetoria Misenensis). Il centro che si sviluppò attorno al porto fu eretto a colonia e fu distrutto dai Saraceni nel IX sec. - Archeol. - Oltre ai resti delle fondazioni dei moli di protezione dell'antico porto, M. conserva interessanti avanzi della cisterna per il rifornimento della flotta romana (Piscina mirabilis). Dell'antico centro romano restano ruderi delle terme e del teatro. Matrona romana. Figlia di Scipione Africano, moglie di Tiberio Sempronio Gracco e madre dei tribuni Tiberio e Caio Gracco, cui ispirò l'amore patrio. Donna di fortissimo carattere, rimasta vedova in giovane età (153 a.C.), rifiutò nuove nozze con Tolomeo VII d'Egitto per dedicarsi all'educazione dei figli. I concittadini la onorarono, ancor viva, erigendole una statua di bronzo (189-110 a.C.). Cornelia. Nobile romana. Figlia di Scipione Metello, sposò Crasso e, poi, Pompeo. Seguì quest'ultimo in Egitto, dopo la sconfitta di Farsalo, e assistette alla sua uccisione. Ne custodì le ceneri, ottenute da Cesare, in una grandiosa tomba presso Albano (I sec. a.C.). Cornelia. Nobile romana. Figlia di Cinna, nell'83 a.C. si sposò con Cesare. La figlia Giulia divenne più tardi moglie di Pompeo (m. 68 a.C.). Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
Buona Sera! ::::: Grazie per la visita! |
![]() |
Copyright (c) 2002 - 27 Apr. 2025 8:41:30 pm trapaninfo.it home disclaim |
Ultima modifica : 08/12/2024 16:57:56